
Musica di Giuseppe Verdi
Libretto di Arrigo Boito
Direttore Christopher Franklin
Regia Italo Nunziata
Scene Domenico Franchi
Costumi Artemio Cabassi
Luci Fiammetta Baldiserri riprese da Ivan Pastrovicchio
Otello Roberto Aronica
Jago Angelo Veccia
Cassio Oronzo D’Urso
Roderigo Andrea Galli
Lodovico Shi Zong
Montano Lorenzo Liberali
Un araldo Eugenio Maria Degiacomi
Desdemona Iwona Sobotka
Emilia Nikolina Janevska
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Municipale Piacenza
Maestro del coro Corrado Casati
Coro Voci Bianche Piacenza
Maestro del coro Giorgio Ubaldi
Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Teatro Sociale di Rovigo
Main Sponsor
Italo Nunziata
“ La gelosia è sovente solo un inquieto bisogno di tirannide applicato alle cose d’amore”
MARCEL PROUST
“La gelosia ha l’orecchio finissimo e giudica più dall’intonazione che dalla parola”
ARTURO COLAUTTI
“L’amore fa nascere la gelosia, ma la gelosia fa morire l’amore”
CRISTINA DI SVEZIA
La gelosia è una prigione nella quale l’individuo si rinchiude a volte da solo o a volte sospinto da qualcuno o qualcosa. Finisce comunque per entrarci di sua spontanea volontà, per chiudere la porta dall’interno e gettarne via la chiave al di là delle sbarre. La gelosia che piega le gambe, che toglie il sonno, arrovella i pensieri, la gelosia che avvelena l’intelligenza con interrogativi, sospetti, paure. La gelosia come una stanza chiusa dalla quale è possibile solo uscirne con l’annientamento totale della causa di questa lacerante ossessione.
Uno spazio chiuso, fatto di pareti di rame ossidate dal mare o dal passare del tempo. Una sorta di spazio prigione che, pur aprendosi verso l’esterno, ha sempre del di fuori una visione non naturale o oleografica, ma straniante e suggestiva. Uno spazio che si muove, si fraziona, si chiude, si riapre senza soluzione di continuità. Uno spazio mentale anche, che apre o chiude l’immagine o il pensiero, mette in primo piano o allontana come in un campo lungo cinematografico le persone, le situazioni, i pensieri. Uno spazio che, nei momenti più forti e claustrofobici dei propri pensieri, come un vero e proprio diaframma in fotografia, sembra chiudersi solo sulla realtà mentale del protagonista tanto da sfocare, sfigurare o aberrare per momenti che sembrano senza tempo le fattezze della realtà circostante.
Tragedia di tutti i tempi e di tutte le epoche, ambientata anche per i costumi e gli oggetti negli ultimi decenni del diciannovesimo secolo, quasi ad evidenziarne, laddove possibile, la natura di “dramma borghese” dello svolgersi dell’azione e del sentimento. Una società ed un periodo storico che non ha più cotte di ferro o armature, ma corazze ben precise fatte di particolari tagli degli abiti, di rituali e forme ineludibili di vivere sociale, di appartenenza per nascita da un mondo dove chi viene dal di fuori, pur avendo guadagnato con forza la sua esistenza e posizione in questa società adeguandosi perfettamente alle sue leggi sociali, sarà visto e ne rimarrà sempre come “estraneo e straniero”.