Perché Eduardo
A ventidue anni ho sperimentato la potenza della scrittura di Eduardo De Filippo nella fortunatissima
edizione di Napoli Milionaria diretta da Francesco Rosi in cui ero Amedeo, il figlio di Gennaro Iovine
interpretato da Luca De Filippo. Quelle oltre trecento repliche mi hanno fatto toccare con mano la
profondità e la sapienza di questa drammaturgia, il senso, i sentimenti, la verità e la teatralità insieme che
ci sono dietro ogni singolo frammento di testo, la ricchezza che si rivela in ogni battuta. Ho potuto toccare
con mano la grandezza di un autore che definirei un alchimista della drammaturgia scenica e un mago,
appunto, capace di regalare agli attori parole, contesti ed azioni in cui crescere, imparare, sviluppare
intelligenza teatrale, replica dopo replica. È per questo ed altro che vent’anni dopo ho sentito che avrei
dovuto e voluto mettere in scena un suo testo. Ma quale?
La grande magia
Se posso dire di essere arrivato razionalmente all’idea ed al desiderio di lavorare ad un’opera di Eduardo
non posso dire altrettanto riguardo la scelta del testo da mettere in scena che viceversa è stata dettata
dall’istinto, ritenendo che da esso possano venire fuori traiettorie artistiche significative e profonde. Quando
ho chiesto a Tommaso De Filippo i diritti de La grande magia, nel mezzo dei bei confronti e scambi che
hanno nutrito questo percorso, mi ha chiesto “provocatoriamente” se di fronte ad una eventuale
indisponibilità di quel testo ne avessi voluto indicare un altro e a costo di rischiare di perdere l’occasione di
lavorare ad un testo di Eduardo, seguendo l’istinto che mi aveva guidato in quella richiesta ho risposto che
no, non avevo altre opzioni. Non in quel momento, non in questo momento. Fra tutti i testi di Eduardo che
posso dire di conoscere a fondo ritengo e sento che La Grande Magia sia quello più necessario oggi per i
temi che affronta, per le relazioni che propone, perché è una commedia squilibrata, meno lineare e
matematica delle altre, sospesa e caotica come il tempo in cui viviamo, infine, perché come regista sento di
poter dare un contributo specifico e personale. La Grande Magia è un testo complesso, ha l’ampiezza e lo
sguardo del gran teatro ed allo stesso tempo offre sfumature nere della nostra umanità, tratti psicologici
addirittura espansi nella nostra società contemporanea rispetto al 1948, anno in cui La Grande Magia andò
in scena per la prima volta suscitando reazioni controverse e per lo più negative, poiché il testo non fu capito
ed apprezzato. Come sappiamo, per Eduardo quella fu una profonda delusione, fu accusato di imitare
Pirandello o più semplicemente, ci fu quella resistenza che sempre riscontra un grande artista quando prova
ad esplorare nuovi orizzonti. Il fatto che Eduardo stesso abbia vissuto l’amarezza dell’incomprensione del
pubblico rivela quanto questo testo sia intriso di profondità e potenzialità per raccontare oggi le nostre
emozioni, le nostre incertezze e le nostre ossessioni. Questa commedia nera, a tratti drammatica, così
ambigua e scivolosa, non ristretta al discorso sulla famiglia, priva di retorica, sospesa fra realtà e finzione,
fra fede e disillusione, teatro e vita, vero e falso.
Cosa è vero? Cosa è falso?
Eppure, ciò che rende questa commedia ancor più vicina al nostro tempo è il sentimento ossessivo di
Calogero Di Spelta, un uomo smarrito in un mondo che sembra altrettanto confuso. Un uomo che ha
bisogno di aggrapparsi a certezze granitiche a costo di rinchiuderle simbolicamente in una scatola. E nella
scatola è disposto a credere ci sia sua moglie pur di non dubitare, pur di non vedere, pur di averla sotto
controllo. Un luogo chiuso interpretato da Di Spelta come luogo sicuro, una seconda prigione come
soluzione per la sua relazione, per sconfiggere le proprie paure, le proprie incertezze e le ossessioni che
permeano la nostra società moderna. Calogero Di Spelta, marito tradito, con la sua mania per il controllo e
la sua incapacità di amare e fidarsi, diventa uno specchio delle sfide e delle difficoltà dell’uomo
contemporaneo nell’ambito delle relazioni. Dall’altro lato, Otto Marvuglia, mago e manipolatore,
personaggio meno “dolce” in scrittura di quanto non lo sia in scena quando ammorbidito
dall’interpretazione dallo stesso Eduardo. Il Marvuglia/illusione, il Marvuglia/realtà, il Marvuglia/impostore
sono le facce sempre diverse ed interscambiabili che modificano il contesto e la percezione della realtà di
Girolamo Di Spelta, ne consegue un continuo cortocircuito che confonde il piano dell’illusione con quello
della realtà, destabilizzando i personaggi stessi e gli spettatori. Smarriti i personaggi, smarriti gli spettatori,
smarriti gli uomini e le donne di oggi, smarriti nelle relazioni, smarriti nel continuo fondersi del vero e del
falso. Cosa è vero? Cosa è falso?
Il cast
Ho sentito fin da subito di non dover necessariamente scegliere gli attori dentro i confini dialettali poiché
questo testo confini non ne ha e la lingua napoletana in questo caso non è corpo così radicato come in altri
testi eduardiani. Nella scelta mi ha guidato il desiderio di interrogare il testo da una prospettiva che mi
consentisse di ascoltarlo come fosse la prima volta e se è vero che Eduardo fa grandi gli attori, è altrettanto
vero che per recitare le parole di Eduardo ci vogliono grandi attori, a prescindere dalla provenienza
geografica. Ed è a partire da queste considerazioni che sono arrivato a pensare a Natalino Balasso per
Calogero Di Spelta e Michele Di Mauro per Otto Marvuglia, due interpreti straordinari che hanno
immediatamente accolto con partecipazione e desiderio il prodigioso confronto che ci attende. Di pari
passo, le stesse direttrici, guideranno la composizione dell’intera compagnia.
La tradizione come trampolino
In questo ci interroga ancora oggi questo testo, che è certamente un classico e come tale da affrontare con
attenzione e cura senza farsi ingabbiare dalle trappole della memoria visiva ed uditiva che il teatro di
Eduardo porta con sé, non cancellare la tradizione ma usarla come trampolino, per non usare Eduardo come
vampiri ma per provare a spingere l’analisi sul suo lavoro, se possibile un passo più avanti, ad esplorare
nuove possibilità all’interno delle trame e dei temi presenti nell’opera e che inevitabilmente ci parlano
diversamente settantacinque anni dopo la prima messinscena. D’altra parte fu proprio Eduardo,
rivolgendosi ai più giovani, ad utilizzare la metafora della tradizione come trampolino e questa metafora
sarà oggetto concreto della scena, il trampolino sarà non solo un elemento fisico, ma anche un simbolo
potente. Rappresenterà il luogo delle visioni e delle sparizioni, uno spazio sospeso in cui il reale e il
fantastico si intrecciano, le paure si realizzano o svaniscono nel nulla. Sarà il punto di partenza per esplorare
nuove prospettive all’interno della storia e dei personaggi, permettendo così al pubblico di immergersi
nell’oggi de La Grande Magia che fu.
Relazioni - personaggi - autori di riferimento
In quest’opera, tutti i personaggi potrebbero manifestarsi come visioni di un incubo, riflesso dell’angoscia e
dell’ossessione di Di Spelta, manipolato abilmente dal mago Otto Marvuglia. Gli altri personaggi, pur
essendo inizialmente presentati come burattini nelle mani di Marvuglia, diventano a loro volta burattinai,
amplificando la complessità e la fluidità delle scene. Questa dinamica trasforma costantemente il quadro
della narrazione, spostando la messa a fuoco e offrendo punti di vista mutevoli e contrastanti, sottolineando
la natura sfuggente e misteriosa della commedia. La messa in scena potrebbe essere concepita come un
ping pong continuo fra i personaggi, con il punto di vista che si ribalta e cambia costantemente. Una
dinamica che intensifica la tensione e l’ambiguità dell’intreccio ed è una direttrice sotterranea al testo che
mi piace evidenziare. Infine, e se è vero che ci sono notevoli similitudini e riferimenti fra La Grande Magia e
le opere di Pirandello, in particolare l’Enrico IV ma anche, particolarmente nel terzo atto, a Sei personaggi in
cerca d’autore è anche vero che La Grande Magia mi fa pensare al La Tempesta di Shakespeare per
l’omaggio che è al teatro, alla finzione e all’illusione, perché ha un carattere testamentario ed esoterico.
Perché è magico. Perché è gran teatro. Perché il teatro è una Grande Magia.
Gabriele Russo