immagine Ernani


VALIGIE D'OCCASIONE
Musica di Joe Schittino
Soggetto di Stefano Valanzuolo
Libretto di Vincenzo De Vivo
Maria Chiara Fiorani
Giobatta Semyon Basalaev
Lucia Maria Grazia Aschei
L'impresario Matteo Torcaso
Il maestro di musica Tianxuefei Sun
Il padrone di casa Davide Lando


L'OCCASIONE FA IL LADRO
Musica di Gioachino Rossini
Libretto Luigi Prividali
Don Eusebio Davide Lando
Berenice Chiara Fiorani
Conte Alberto Tianxuefei Sun
Don Parmenione Matteo Torcaso
Ernestina Maria Grazia Aschei
Martino Semyon Basalaev

Direttore Marco Alibrando
Regia Matteo Mazzoni
Allievi selezionati nel progetto RossiniLab-Cantelli
Docente preparatore e direttore RossiniLab-Cantelli Giovanni Botta
Scene Matteo Capobianco
Bozzetti dei costumi ideati da IPSAS Aldrovandi Rubbiani - Sezione Moda
Costumi Silvia Lumes

Maestro al cembalo Yirui Weng
Orchestra Sinfonica Carlo Coccia

Produzione Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara
in collaborazione con il RossiniLab-Cantelli e con il patrocinio del Rossini Opera Festival, Fondazione Rossini ed European Opera Academy

Scarica il libretto

Ai principi dell’Ottocento. In casa di un ricco signore.

La cantante Maria sta facendo una scenata di gelosia al baritono Giobatta, suo fidanzato. Siamo nel camerino, allestito nel salotto di casa di un ricco signore, prima che cominci la cantata seria encomiastica commissionata dal padrone di casa, in onore di se stesso... Maria, al colmo della rabbia, sbatte la porta e se ne va, decisa a non cantare più.

Sopraggiunge l’Impresario della piccola compagnia - che funge anche da librettista d'occasione - e, disperato spiega a Giobatta che, senza più Maria a soli due giorni dall’esibizione, non ci sarebbe modo di mantenere l’impegno preso col Padrone di casa. Il rischio, cioè, che saltino la soirée e, soprattutto, l’ingaggio promesso dal committente è serio. I due uomini, allora, si industriano per trovare una soluzione alternativa. L’Impresario propone di trasformare la cantata a tre, originariamente prevista, in un Intermezzo a due voci: quella di Giobatta, appunto, e quella di Lucia, l’altra cantante, che sarebbe dunque promossa in fretta, tenuto conto dell’emergenza, al rango di protagonista.

Se convincere Lucia, però, si prospetta impresa semplice (visto che la ragazza non vede l’ora di strappare il ruolo di primadonna alla più matura rivale), difficile potrebbe essere indurre il Maestro di musica a rivedere una partitura già completata con qualche affanno. Del testo, invece, si occuperà direttamente l’Impresario, con minime modifiche che – visti i tempi a disposizione - non dovranno impegnarlo più di tanto. Sul luogo delle prove giunge, allora, il Maestro che, dopo qualche timida protesta, si lascia convincere - per cause di forza maggiore - a trasformare quella che fu la Cantata in qualcosa d’altro; e dove c’era un terzetto, punto forte della composizione, ci sarà un duetto con oboe obbligato. Sperando che funzioni...

Mentre il Maestro si mette a scrivere per reinventarsi lo spettacolo e ricavarne, alla meno peggio, una sorta di improbabile intermezzo boschereccio a due voci, Maria la transfuga, colta da improvviso rimorso, decide di tornare all’ovile, ossia alla casa del committente. Rabbonitasi nel frattempo e soprattutto attratta dagli odori che provengono dalla cucina, medita di chiedere scusa a Giobatta e di rimettersi al servizio dell’Impresario e della compagnia, prefigurandosi vari momenti di gloria. Non immagina di essere stata già sostituita né che la cantata, ormai, sia stata stravolta. Ma lo scopre ben presto, osservando (da un angolo nascosto del salotto) Giobatta e Lucia che, istruiti dal Maestro, si preparano a provare il loro nuovo/vecchio intermezzo.

Lucia è eccitata all’idea di diventare protagonista del nuovo lavoro. Giobatta, al solito, fa il galante con la sua partner. Infine, comincia la musica, con un’aria (“Sol che desti dall’Oriente”) in origine destinata a Maria e trasposta per la circostanza: è troppo, per la (ex) fidanzata di Giobatta, che continua ad assistere, non vista, a tutti i preparativi in corso! Come morsa da un serpente, Maria salta fuori dal nascondiglio e prende a cantare la stessa aria, in un’altra tonalità, sovrapponendosi a Lucia, come a ribadire il proprio diritto inderogabile sul brano e sul ruolo. Scoppia presto un litigio a cinque voci – Maria, Lucia, Giobatta, Impresario, Maestro – in cui le due donne si accapigliano tra eccessi di gelosia professionale e sentimentale, Giobatta prova a proteggersi dagli strali delle donne, il Maestro si sforza di difendere la propria opera e l’Impresario cerca di tenere in piedi la barca, memore dell’anticipo già versato dal committente e dell’ingaggio promesso.

È al culmine di questo bisticcio plateale che entra in scena l’ultimo personaggio della storia, fino a questo punto evocato ma non ancora palesatosi: il Padrone di casa, ovvero il committente. Mentre tutti si profondono umilmente in scuse, lui, più annoiato che sdegnato per la querelle, si mostra comunque generoso: spiega, cioè, al Maestro e all’Impresario di avere apprezzato lo sforzo profuso per consegnare in extremis un prodotto in qualche modo decoroso, e per questo motivo concede a entrambi di tenere l’anticipo, senza nulla dover rendere indietro. Ma – aggiunge – vuole che l’uno e l’altro lascino al più presto il palazzo e, per accelerare le operazioni, gli fa consegnare dai lacchè le rispettive valigie. I due, pur mortificati, si piegano al volere del nobile signore. Mentre si allontanano, però, si accorgono che i bagagli sono stati scambiati. Il Padrone di casa, che considera chiusa la faccenda, si rivolge adesso ai tre cantanti rimasti, chiedendogli di proporgli - visto che sono pagati per farlo - un altro pezzo di buona musica, meglio se divertente.

Costretti a scegliere, i tre cantanti azzardano varie ipotesi: Farinelli? Paisiello? Cimarosa?... Nessuno di questi nomi sembra però convincere il Padrone di casa. Finché Maria tira fuori dal baule uno spartito di Rossini… Si intitola “L’occasione fa il ladro” ed è su questo titolo, alla fine, che cade la scelta di tutti, con l’approvazione del committente. Resta un piccolo problema, soltanto: il pezzo da cantare sarebbe un quartetto, e le voci sono tre. Problema risolto: il Padrone di casa si unirà volentieri alla compagnia… Ma non prima di avere consumato, insieme alla compagnia, un lauto pranzo al quale, per gentile concessione dell’anfitrione, vengono invitati anche il Maestro e l’Impresario, ancora intenti a rimettere ordine nelle proprie cose, gettate alla rinfusa nelle due valigie scambiate.

Come si fa a mettersi in competizione con Rossini? Non si fa, appunto. Si resta muti, dinanzi al miracolo teatrale, piccolo o grande che sia, e all'invenzione musicale, scervellandosi intanto per trovare un appiglio che rimandi rispettosamente al suo genio.

Come si fa - riproviamo testardamente a formulare la domanda - ad affiancare un titolo nuovo a "L'occasione fa il ladro", senza arrossire e mantenendo, intanto, una coerenza drammaturgica che leghi il progetto contemporaneo a quello reso già solido e popolare da secoli di successi?

Nel nostro caso, la strada seguita è stata quella della dimensione, per così dire, "ancillare", illuminata e niente affatto mortificata dall'incontro ravvicinato con Rossini. "Valigie d'occasione", cioè, assume per scelta una funzione quasi propedeutica rispetto all'exploit rossiniano: un presupposto plausibile e moderno, insomma, per introdurre naturalmente l'ascoltatore al piacere di esiti teatrali ben altrimenti consolidati.

Per ottenere questo scopo, abbiamo dovuto adeguarci alla medesima forma narrativa privilegiata da Rossini, ovvero quella della "farsa", apparentemente lontana, per mode e modi, da un sentire contemporaneo, eppure miracolosamente efficace, oggi come allora, per quanto concerne i mecanismi di interlocuzione con lo spettatore. D'altra parte, non hanno scadenza i parametri drammaturgici ai quali docilmente si affida "Valigie d'occasione" : gelosia, ripicche, invidia, avidità, opportunismo... Sono tutti archetipi teatrali celebrati, appunto, nella piéce rossiniana, dove appaiono messi a frutto con verve incomparabile e sul filo ben teso dell'equivoco. Senza sottrarsi - ché la tentazione diventa troppo ghiotta - alla volontà di entrare nel gioco sempre attuale del teatro nel teatro, ravvivata da riferimenti nobilissimi: da Il Maestro di cappella e L'impresario in angustie per arrivare ad Ariadne auf Naxos di Hoffmannstahl e Strauss, passando per L'Opera seria di Gassmann e Le convenienze ed inconvenienze teatrali di Donizetti. Gli stimoli, come si vede, sono molti e illustri.

Attualizzare il contesto e rendere contemporaneo il lavoro di ideazione e scrittura di una farsa nel terzo millennio sono azioni che non passano, naturalmente, attraverso lo smantellamento dei punti fondanti del genere specifico, celebrati come inattaccabili e, non per caso, felicemente percepibili nell'occasione. Semmai, invece, esse includono l'adozione di un linguaggio che, pur alludendo nel ritmo e nella cornice, a quello classicamente rossiniano risulti, invece, moderno nel rapporto tra termini e situazioni, resti scherzoso e sfiori consapevolmente, nel raffronto tra passato e presente, l'accento parodistico. Lo sforzo promosso, in definitiva, impone la costruzione di una nuova sintassi, al cospetto del medesimo alfabeto rossiniano. Ed è un gioco che coinvolge autori e pubblico, tutto sommato, quasi un esercizio di stile regolato dall'osservanza ovvia di certe convenzioni che appartengono, più in generale, al melodramma italiano e, significativamente, al tesoro teatrale e musicale accumulato da Rossini.

Stefano Valanzuolo

Vincenzo De Vivo
La valigia è il simbolo stesso del viaggio, così come in fondo è la vita stessa nel suo svolgersi lineare nei fatti, ma circolare e simultaneo nella percezione e riorganizzazione della memoria. Lo stesso vale per l’esperienza dell’ascolto, in cui dal singolo evento musicale germina e fiorisce il successivo; ma nella rievocazione emozionale l’ascolto si riorganizza, si modifica anche, modellandosi sul proprio vissuto: è il destino consapevole dell’Arte, e un modo intelligente per tenerci ancorati sulla terra con i piedi sulle nuvole. Così, le valigie che il Padrone di casa fa consegnare al Maestro e all’Impresario, al di là del loro misterioso contenuto e dell’essere cassa di risonanza per la valigia di Maria, piena di inauditi spartiti e tesori nascosti, sono un invito a mettersi senza indugio in cammino per le vie della Bellezza. La chiave di lettura è una visione fortemente simbolica della Storia (non solo della Musica), organizzata intorno alla restituzione di una panoramica del patrimonio di memorie musicali che alla citazione preferisce la sublimazione, alla decontestualizzazione il mutamento in quintessenza e in archetipo, alla paratassi la sintassi; per cui l’intera esperienza della musica, e del teatro in musica, è il pretesto scelto dal compositore per una partitura che vuol contenere un tentativo di viaggio più profondo intorno agli ingranaggi segreti dell’umana poesia nel momento in cui diventa scena. Così la breve Sinfonia di Valigie d’occasione ne è anche l’epitome estetica, con il suo inizio ben pomposo alla Gluck che subito trasfigura in atmosfere jazz, modali, melodie da operetta, armonie e timbri improvvisamente aspri, “casuali” settime di dominante e sfacciate quinte dei corni, in un mercuriale cambio di caratteri che nella vita è stranezza ma nel sogno, che della vita è quintessenza, è Alltagsleben. Così il primo Ottocento, nella cui dolcezza un po’ Biedermeier è ambientata la vicenda, nel progetto del compositore diventa una piccola Wunderkammer della memoria teatrale musicale, piena di ricordi, danze, cimeli e ospiti di riguardo, la cui lieve bizzarria (in realtà studiata e innervata di costanti “esoteriche”: sliding tonali/atonali/modali, proporzioni, ritmi, intervalli, numeri di battute, codici a intermittenza e tanto altro), prevede la coabitazione di stili diversi che si sono felicemente spogliati dai pesi morti di etichette ed etichettatori, per tendere al comune fine del gioco e della libertà, e arrivare al pubblico come un tutto quieto e unitario. Valigie d’occasione, oltre che omaggio al genio rossiniano, è quindi una divertente conversazione di e sulla musica con i suoi stessi “ferri del mestiere”, reali e ideali, per tramite di strumenti, storia e personaggi, liberata da tutte le inattendibili e inutili macchine del tempo.
Valigie d’occasione:
Sarà la mia valigia? Il dubbio che ti prende davanti al nastro che in aeroporto ti restituisce i bagagli. Perché dentro c’è la vita e dentro potresti trovarci strane sorprese. Lo scambio di valigie de L’occasione fa il ladro di Gioachino Rossini al quale Joe Schittino rende omaggio scrivendo per il Teatro Coccia di Novara la sua prima farsa, Valigie d’occasione, richiamando già nel titolo il legame con la «burletta» del pesarese.
Soggetto e libretto, rispettivamente di Stefano Valanzuolo e Vincenzo De Vivo, sono un riuscitissimo omaggio al genere della farsa rossiniana, un esercizio di stile, ma anche un piccolo capolavoro di stile. Passando dai ritmi serratissimi delle scene d’insieme a quelli più distesi nelle due arie (rispettivamente del Maestro e di Maria), il linguaggio contemporaneo di Schittino si fonde con quello del melodramma evocando – sempre per necessità drammaturgiche – i mondi sonori mozartiani, rossiniani, ma anche verdiani (echi di Falstaff) e pucciniani (provate a sentire i riferimenti a La bohéme e a Turandot).
La Sinfonia, come da tradizione, contiene alcuni motivi portanti dell’opera come i temi del Padrone di casa e del Maestro. Quest’ultimo tema, poi, fa subito pensare alle grandi colonne sonore del cinema italiano anni Sessanta dirette dal grande Franco Ferrara o addirittura a Piero Umiliani che compone il tema d’apertura de Il vigile di Luigi Zampa, pellicola interpretata da Alberto Sordi.
Forse un po’ un azzardo, ma a mio avviso un sottilissimo filo che collega le farse rossiniane di inizio Ottocento fino alla commedia all’italiana nata alla fine degli anni Cinquanta appare evidente. Musica e situazioni. Come quelle tragicomiche che possono nascere… dallo scambio di una valigia.

L’Occasione fa il ladro:
Fa sempre un certo effetto vedere (o meglio, sentire) che gli amanti rossiniani non osino mai dirsi «ti amo». Preferiscono, come in questa farsa, raccontarsi «quanto son grate le pene in amore». Tanto più «se premio al dolore è un tanto piacer». Eccola qui, la dichiarazione d’amore che si scambiano Berenice e Alberto.
Lo fanno, dopo appunto le loro molte «pene» nel finale de L’occasione fa il ladro, «burletta per musica», come recita la partitura, composta da Gioachino Rossini nel 1812 in soli undici giorni e ispirata al compositore pesarese dalla cosiddetta “decima musa”, ossia la fretta! Mi hanno sempre affascinato la facilità e la velocità di scrittura del giovane Rossini, specialmente a vent’anni quando ancora non aveva a disposizione molto materiale per ricorrere all’auto imprestito.
In quei pochi giorni in cui lavora all’opera per il Teatro San Moisè di Venezia Rossini ha tutto il tempo di esprimere il suo genio e ne L’occasione riscontriamo tratti di grande novità e originalità, a partire dal primo numero: Sinfonia ed Introduzione vengono concepite come un pezzo unico che addirittura ingloba una Tempesta, marchio di fabbrica inconfondibile di Rossini, dal Barbiere di Siviglia al Guglielmo Tell, tempesta meteorologica, ma spesso tempesta dell’anima.
Non solo. Le citazioni mozartiane dal Don Giovanni, ma anche da Le nozze di Figaro, sono la prova del fatto che Rossini avesse studiato profondamente queste partiture, probabilmente quando era allievo di padre Mattei a Bologna, padre Mattei già allievo di padre Martini, ovvero quell’uomo che aveva corretto un’antifona di Mozart!
Una partitura complessa che ha in sé già l’architettura delle grandi opere rossiniane. L’aria di Berenice Voi la sposa pretendente, è un’aria molto estesa (addirittura quadripartita), anomala se si pensa che è affidata ad un personaggio di una «burletta per musica», appunto. Ma per fortuna a Rossini “sfugge la mano” nella scrittura e il compositore ci regala un capolavoro che contiene un preziosismo di orchestrazione: la sezione lirica Adagio viene introdotta da un’elegante melodia del clarinetto raddoppiato dal corno all’ottava inferiore creando un timbro misto molto originale con un effetto quasi straniante, inebriante.
E ancora l’ultimo numero, ovvero il Finale che si articola anch’esso in quattro parti, contiene il dolcissimo duetto d’amore Oh quanto son grate le pene in amore introdotto – come nelle serenate strumentali mozartiane – dai soli fiati.
Col maestro Giovanni Botta e con i giovanissimi talenti del Rossini Lab abbiamo cercato di utilizzare con grande sobrietà tutti gli strumenti a nostra disposizione per variare con grazia in stile rossiniano; pochissime variazioni di note ed articolazioni, dolci appoggiature superiori ed inferiori, inversioni tra le parti e niente di più.
D'altronde gli amanti rossiniani non osano mai pronunciare «ti amo». L’amore sublimato che Rossini evoca supera i limiti dei sentimenti fragili dell’uomo e si eleva a valore simbolico universale.
Il nostro progetto parte dall’ affascinante sfida di rappresentare l’opera buffa contemporanea “Valigie d’ occasione” e la celebre farsa rossiniana “L’occasione fa il Ladro” di seguito e senza interruzioni, andando a creare un linguaggio comune, a metà fra realismo e surrealismo, tra questi due mondi musicali così lontani, ma che allo stesso tempo offrono spunti teatrali molto simili, tramite equivoci, travestimenti e scambi d’ identità.

La scenografia è pensata da Matteo Capobianco proprio ad esaltare questo “ludus teatrale”: una grande cornice che delimita un palcoscenico nel palcoscenico, un secondo sipario dopo il primo, attraverso luoghi e tempi diversi nel ritmo frenetico e frammentario del metateatro, oltre l’illusione scenica e la realtà tangibile dal pubblico.

I costumi, realizzati sui bozzetti degli studenti dell’Istituto Professionale Statale Aldrovandi Rubbiani e scelti dalla costumista Silvia Lumes, contestualizzano entrambe le vicende nei primi del 1800, restituendo all’ azione scenica la verità e nobiltà storica necessaria per il racconto della realtà sociale sottostante.